Sospendere i brevetti farmaceutici per rendere il vaccino anticovid “bene comune” sembra intento eticamente apprezzabile, quanto, sul piano sistemico e dell’analisi economica del diritto, pericolosamente controproducente. E, dunque, persino ingenuamente populistico. Già solo l’annuncio, centuplicato dal megafono Biden, rischia effetti negativi incancellabili. Dissacrare i brevetti di medicamenti salvavita, e già dimostrarlo possibile, genera effetti negativi di lungo periodo spesso incomparabilmente superiori ai vantaggi immediati. Perché, sacra o esecrabile che sia la corsa ai brevetti come motore di profitto, renderli in un settore meno certi significa solo canalizzare gli investimenti di ricerca in direzioni diverse, eticamente meno meritorie ma più al sicuro da prassi o provvedimenti “espropriativi”.
Nel nostro ordinamento già il Codice Civile prevedeva la espropriazione (con indennizzo) per “pubblico interesse" (art. 832) e la Costituzione (art. 42) generalizza quella “per motivi di interesse generale” (oltre ad imporre “doveri di solidarietà”, ed a subordinare la proprietà alla “funzione sociale” e l’iniziativa economica alla “utilità sociale”, con gli artt. 2, 41 e 42). L’espropriazione con indennizzo è, dunque, prevista tanto dal Codice del ’42 che dalla Carta Costituzionale. La quale la subordina ad un “interesse generale” solidaristico, diverso dal “pubblico interesse” di ispirazione “corporativa” dei tempi della codificazione, ed omologo, invece, all’“interesse generale” o all’“utilità pubblica” in nome dei quali, rispettivamente, la Carta di Nizza (art. 17) o la Carta EDU consentono che una “persona” possa essere “privata della proprietà”. Il “diritto terribile” (Rodotà) non è più “sacro e inviolabile”, come sanciva, nel 1848, lo Statuto Albertino (che pur ne subordinava il riconoscimento “quando realizza una funzione sociale”).
È la storica transizione dell’istituto proprietario dal sacrée al civile, che a maggior ragione concerne la proprietà intellettuale riconducibile alla privativa brevettuale. Si conferma dunque non giuridicamente censurabile un provvedimento latamente (e limitatamente nel tempo) espropriativo come la sospensione temporanea di privative brevettuali. Invocarlo, però, nel settore che ci occupa genera pericolosi effetti sul piano di law and economics; ma, a ben vedere, anche sul quello etico, avuto riguardo al possibile conflitto fra etica dei doveri (che giustificherebbe una sospensione delle privative brevettuali con l’intento di massimizzare la diffusione immediata del vaccino) ed etica delle conseguenze anche di lungo e medio periodo, ove dissuasivo di futuri investimenti di ricerca privata nel settore. Con particolare riguardo al tentativo di evocare per tali brevetti la discutibile categoria dei “beni comuni” (ne riparleremo).
Liberalizzare le invenzioni e scoperte relative a farmaci capaci di debellare epidemie o pandemie rendendole patrimonio comune sottratto a privative brevettuali, sarebbe dunque regime eticamente e socialmente desiderabile, se non avesse il grande difetto di disincentivare la ricerca nel settore, dirottandola verso obiettivi più profittevoli, ancorché meno nobili e socialmente desiderabili. In materia di vaccino anticovid, e nel caso concreto, il solo parlare di “sospensione dei brevetti” sarebbe suicida, renderebbe la ricerca di settore vittima di fuoco amico, anche perché preme l’avanzata di varianti sconosciute e la necessità di adeguarvi le tecniche vaccinali, e dunque di non disincentivare Big Pharma dall’impegnarvisi.
Mentre il beneficio di “liberalizzare” i brevetti esistenti non sarebbe neppure sollievo effettivo di breve periodo. I paesi poveri, ancorché beneficiari, avrebbero difficoltà, e comunque tempi lunghi per poterne fruirne avviando una produzione così tecnicamente complessa. Il loro problema è sia di approvvigionamento (e gli USA che predicherebbero la sospensione dei brevetti pongono vincoli alla esportazione tanto del vaccino che dei materiali rari per produrlo), sia di capacità di distribuzione (il caso India docet).
Ancorché giuridicamente praticabile, dunque, la sospensione dei brevetti vaccinali, ed anzi il solo evocarla come possibile, può avere effetti negativi. Nelson Mandela, gigante del secolo breve, quando in Occidente i costosissimi nuovi retrovirali (terapie da 10.000 dollari) salvavano dall’AIDS, mentre nell’Africa da spesa sanitaria annua pro capite di 10 dollari si continuava a morire, con il suo Medical Act nel 1997 ne volle imporre la produzione o l’importazione a buon mercato anche in deroga alle privative brevettuali. Controversa soluzione, osannata quanto contrastata con alterne vicissitudini: il Medical Act, bloccato qualche anno dopo dall’azione legale di circa quaranta case farmaceutiche, che divise il mondo in due e fu a sua volta fortemente avversata dalla pubblica opinione, provocò alla fine una risoluzione dell’ONU che impegnò la comunità internazionale a sostenere i paesi poveri più colpiti dall’epidemia. Avrà tale “lezione” disincentivato Big Pharma dall’impegnarsi nella lotta alla malaria (il farmaco risolutivo manca ancora!), mortale in Africa come l’AIDS? Non a caso nell’ultimo quarto di secolo gli antimalarici più diffusi, in Africa, sono cinesi. E non si registra, in Occidente, nessun significativo progresso nelle ricerche antimalariche.
Può servirci altresì da apologo la dialettica fra liberalizzazione od invece protezione con riguardo all’utilizzo sul web di contenuti coperti da diritti di proprietà intellettuale ed industriale, dove le pretese di massimizzare gli accessi alle altrui opere e la loro utilizzazione “creativa” si scontrò sulla esigenza di mantenere e tutelare quei diritti come incentivo a creare, in assenza del quale la creatività sarebbe stata disincentivata e ridotta, invece che massimizzata e diffusa. E divenne evidente che la tutela delle esigenze di generalizzare l’accesso ad opere coperte da diritto d’autore, o la creatività espressa attraverso forme di loro disinvolta …cannibalizzazione, non passa per la sospensione o negazione dei diritti d’autore. Così come per massimizzare la diffusione dei farmaci salvavita essenziali a debellare una pandemia la sospensione dei brevetti è rimedio peggiore del male.
Gli strumenti sono altri. Europa e USA hanno finanziato Big Pharma prenotando al buio milioni di dosi di vaccini prima di conoscerne approvazione ed efficacia. Avrebbero potuto (dovuto?) ipotecare partecipazioni brevettuali ed opzionare soluzioni a favore delle nazioni meno munite (come dovrebbero reagire oggi con vigore ad inadempimenti e ritardate consegne) e potrebbero ora negoziare forniture o impianti produttivi per paesi poveri e coadiuvarli nella distribuzione o gestione. Ricordando anche che da soli, e in tempi brevi, difficilmente quei paesi saprebbero mettere a frutto una (così inutile) liberalizzazione di brevetti per farmaci tanto complessi da produrre, gestire e distribuire capillarmente e senza sprechi (si pensi al caso India, che pure li produce). Senza contare, poi, le derive degli autocrati. Incentiviamo allora, anche governandola, l’azione anticovid di Big Pharma, ma senza rischiare di dirottarne altrove gli sforzi. Coadiuviamo, allora, la diffusione dei vaccini (magari coinvolgendo Big Pharma e ottenendo un “prezzo politico” da contrattare, o una parziale “donazione”, a fronte di opzioni e prospettive di forniture future) come aiuto a quelli che Frantz Fanon chiamava i “dannati della Terra”.
Evitiamo, ancora, di evocare l’equivoca categoria dei “beni comuni” per scoperte scientifiche o trattamenti terapeutici, poco importa quanto essenziali per l’umanità: si moltiplicherebbero le incertezze disincentivanti finora illustrate, soprattutto in tempi di mutazioni preoccupanti del virus, che impongono misure incentivanti e non dissuasive degli sforzi di ricerca. Categoria, quella dei “beni comuni”, equivoca quanto incerta. Ne conosco la genesi giurisprudenziale anche per diretta esperienza professionale: da difensore dei diritti proprietari relativi a storici compendi immobiliari, le c.d. “Valli da pesca della laguna veneta”, ho visto disconoscere quei diritti dalla Cassazione in un leading case (Cass. n. 3937/2011) che dichiarava quegli specchi acquei demaniali in quanto “bene comune”, ma poi condannare lo Stato Italia dalla CEDU (sentenza del 23/09/2014 Valle Pierimpiè Società Agricola S.p.a. c. Italia) per lesione di quei diritti proprietari in quanto disconosciuti da quella decisione, divenuta così fonte di una sorta di effetto espropriativo senza indennizzo. Le successive decisioni, della Cassazione cristallizzate in quel senso e della CEDU in quell’altro, hanno dimostrato la qualificazione di “bene comune” come sia non univoca che di incerti confini. Evocare quella figura in materia di brevetti vaccinali può provocare immaginabili quanto nefasti effetti dissuasivi.
In sintesi finale, dunque, la sospensione dei brevetti vaccinali per consentirne l’accesso ai paesi meno ricchi sarebbe giuridicamente praticabile ma tanto disincentivante da apparire rimedio peggiore del male. Anche perché, più in generale, la intangibilità della proprietà intellettuale, al di là delle eccezioni “espropriative” consentite dall’ordinamento, è principio sul quale poggiano le aspettative e l’affidamento di chi investe in ricerche. Disattenderle è vulnere ad una sorta di stato di diritto sostanziale, ancorché i provvedimenti espropriativi siano compatibili con quello formale. E gli effetti dissuasivi, si è detto, sarebbero costo sistemico troppo alto. Ancor più, poi, ove il disconoscimento di privative e diritti di proprietà intellettuale fosse correlato agli incerti confini della qualificazione di taluni brevetti essenziali come “bene comune”: la cui qualificazione “espropriativa” sarebbe consegnata agli impredicabili esiti d’una ricognizione giudiziale (non evolutiva, ma) creativa. Evitiamo di parlare di vaccini come “beni comuni”: il solo effetto annuncio genera suggestioni dissuasive gratuitamente rovinose.