Nella «mitologia giuridica» (S. Romano) europea riveste una certa importanza la storia del mugnaio di Sanssouci, a cui è legato il detto comune «Ci sarà pure un giudice a Berlino!». Il mito del mugnaio, che riesce a difendere il suo mulino dal potere di Federico il Grande appellandosi a una Corte di giustizia, sta a indicare due elementi fondamentali della tradizione costituzionale europea: l’idea che qualsiasi potere pubblico sia limitato dai diritti fondamentali delle persone e quella, strettamente connessa, che chiunque potrà domandare il rispetto di tali diritti davanti a un giudice. L’introduzione delle giurisdizioni costituzionali nel XX secolo ha rappresentato un momento di inveramento di questo mito particolarmente significativo, assoggettando anche il potere legislativo al controllo giurisdizionale. Oggi, la decisione del Bundesverfassungsgericht sulla Klimaschutzgesetz sembra però suggerire che al detto comune sul giudice di Berlino sia ormai possibile attribuire un significato ancora più esteso, connesso alla virtualità transnazionale della giustizia costituzionale europea.
Sotto questo aspetto, la sentenza del BVerfG del 24 marzo 2021 non rileva tanto per la decisione di dichiarare la legge sulla protezione del clima incompatibile con la Costituzione (commentata per questo Blog da M. Pignataro), quanto per avere ammesso il ricorso di dieci persone residenti in Asia, le quali lamentavano che la Germania, mediante la mancata adozione di misure sufficienti per contrastare il cambiamento climatico, stesse violando i loro diritti costituzionali alla vita e all’integrità fisica (GG Art. 2.2) nonché alla proprietà (GG Art. 14.1). Per costruire il loro caso, i ricorrenti avevano anzitutto evidenziato che il Bangladesh e il Nepal sono aree particolarmente esposte alle conseguenze dei cambiamenti climatici sia per ragioni geografiche sia per l’assenza, a livello nazionale, di politiche pubbliche effettive di mitigazione dei loro effetti negativi sulla popolazione (§§79-82); avevano quindi spiegato perché la lesione dei loro diritti fondamentali dovesse considerarsi attuale, rappresentando alla Corte come non soltanto essi (con le rispettive popolazioni) avessero già subito gravi danni, ma corressero anche il rischio concreto di subire danni ulteriori e irrimediabili per possibili catastrofi naturali causate dal cambiamento climatico (§83). In punto di diritto, la tesi sostenuta dai ricorrenti è che l’art. 1 della Costituzione federale individui nei diritti fondamentali un vincolo per i poteri pubblici senza limiti spaziali e che, di conseguenza, anche stranieri residenti all’estero, la cui situazione soggettiva possa essere influenzata dall’esercizio del potere pubblico tedesco, siano legittimati a domandare che vengano rispettate le obbligazioni positive di protezione discendenti da tali diritti fondamentali (§84).
Costituitisi in giudizio, sia il Bundestag sia il Governo Federale hanno sostenuto che tale ricorso dovesse essere dichiarato inammissibile. Pur riconoscendo che i diritti fondamentali costituiscono un limite di carattere generale per i poteri pubblici tedeschi, per le Istituzioni resistenti non sarebbe stato comunque derivabile dal Grundgesetz alcun dovere di protezione quale quello di cui i ricorrenti avevano lamentato la violazione, e ciò sia per la limitata possibilità di azione internazionale della Germania, sia per l’ampissimo margine di discrezionalità da riconoscersi agli organi costituzionali in materia di politica estera (§§85 ss.). Inoltre, avrebbe in ogni caso ostato a una decisione nel merito il carattere non differenziato della posizione giuridica dei ricorrenti (in linea con uno schema tipico della valutazione di ammissibilità delle domande dinanzi alle giurisdizioni di diritto pubblico). I ricorrenti avevano infatti descritto una situazione fattuale condivisa da chiunque altro viva in aree del mondo con analoghe caratteristiche geografiche o socio-economiche e, dunque, lamentato un pericolo per i propri diritti fondamentali che sarebbe stato corso, nel mondo, da un insieme di persone assolutamente indefinito (§88).
La Corte costituzionale tedesca dichiara invece ammissibile il ricorso affermando, da un lato, che non si può escludere a priori che i diritti fondamentali riconosciuti dalla Costituzione implichino in capo allo Stato un’obbligazione positiva di contribuire a proteggere tutte le persone – anche straniere e residenti in paesi esteri – dagli effetti negativi del cambiamento climatico (§101, §§175 ss.) e, dall’altro, che ai fini dell’ammissibilità di un Verfassungsbeschwerde non è necessario che il ricorrente chiarisca in quali termini la sua situazione soggettiva si differenzia da quella della generalità delle persone purché questi lamenti la violazione di un proprio diritto fondamentale (in una logica per certi versi assimilabile a quella delle c.d. azioni popolari) (§110). Anche se la Corte dichiara il ricorso degli stranieri infondato nel merito (§§173 ss.), l’ammissibilità di una simile azione giudiziaria appare, di per sé, un dato significativo per i costituzionalisti in quanto rilevatore di potenzialità dei modelli di giustizia costituzionale contemporanei a cui generalmente non si pensa.
Diversamente da altri primi commentatori, non penso che questa conclusione sia messa in discussione dallo standard di giudizio molto stringente che la Corte tedesca avrebbe ipotizzato per l’accoglimento di un’azione di questo tipo (gli standard della «assoluta mancanza di misure di contrasto al cambiamento climatico» o, comunque, della «adozione di misure manifestamente inadeguate, da valutarsi anche in relazione alla concreta possibilità di intervento della Germania») (§180). L’affermazione fatta dalla Corte «in linea di principio» (§174), benché non conduca all’accoglimento del ricorso, presuppone due elementi di diritto non scontati: 1) l’esistenza di un obbligo costituzionale per lo Stato tedesco di perseguire una politica, anche estera, di contrasto ai cambiamenti climatici e 2) la giustiziabilità della sua inosservanza da parte di chiunque sia affetto da tale decisione, anche se estraneo alla comunità politica di riferimento. Se si considera, poi, che il fondamento di entrambi questi presupposti è rintracciato, in ultima istanza, nel riconoscimento dei diritti fondamentali sembra davvero difficile negare un importante valore simbolico a questa decisione del Bundesverfassungsgericht, che appare invero l’ultima espressione di un’attuale tendenza europea a spingere la realtà giuridica della tutela dei diritti fino ai confini del suo mito fondativo.
Mi chiedo, peraltro, se alla virtualità transnazionale della tutela dei diritti fondamentali, che questa decisione esprime, non sia possibile riconoscere un significato speciale nella particolarità del contesto europeo, caratterizzato da una sempre più stretta interdipendenza tra gli Stati e i loro popoli. Nel nostro attuale ambiente giuridico, difatti, l’idea di una giustizia costituzionale nazionale senza frontiere sembra indicare la via per una possibile nuova forma di supplenza giudiziaria al processo di integrazione attraverso il diritto. Pur con alcuni limiti – derivanti dai vari meccanismi di accesso alla giustizia costituzionale e dalla trasponibilità di questo modello di tutela a diritti diversi da quelli climatici – una concezione della tutela dei diritti non territorialmente limitata (in parte già sperimentata nei cc.dd. cross-border cases CEDU come Güzelyurtlu and others) potrebbe in fondo rivelarsi un’idea promettente nella prospettiva della giuridificazione di situazioni europee di rilevanza transnazionale non ancora disciplinate dal diritto dell’Unione. In parole più semplici: è possibile immaginare che a rivolgersi al «giudice di Berlino» di turno saranno in futuro altri europei che demandano a uno Stato vicino di adempiere obblighi che, pur non ancora definiti in sede politica sovranazionale, sono deducibili dal nostro patrimonio comune di diritti fondamentali?