Brexit è un fenomeno controverso che trae origine dalla difficile convivenza tra l’ordinamento britannico e quello europeo. In ambito sociale è quindi utile analizzare il quadro di tutele dei cittadini/lavoratori europei nel Regno Unito alla luce dell’Accordo di recesso e dell’Accordo Brexit, le prospettive di conservazione del patrimonio sociale europeo e la tenuta degli standard della Carta sociale europea.
L’Accordo di recesso del 2019 stabilisce il regime di tutela dei cittadini che si sono stabiliti e/o lavorano prima del 31 dicembre 2020, escludendo coloro che si trasferiscono successivamente.
La Parte seconda dell’Accordo stabilisce la conservazione, in capo a costoro, dei diritti derivanti dall’ordinamento europeo per l’intero arco della vita, anche a fronte di mutamenti di status. Il perno rimane la direttiva 2004/38/CE che sancisce il diritto di soggiorno modulare acquisito prima del 21 dicembre 2020. In particolare, il diritto di soggiorno permanente (c.d. “settled status”) è perfezionato al cumulo dei cinque anni continuativi, ma si intende perso in caso di assenza dal Regno Unito per più di cinque anni. Si restringe le possibilità di mantenere tale status per i lavoratori più vulnerabili per precarietà contrattuale e/o che non risiedono permanentemente nel Regno Unito. La disomogeneità di tutele è ancor più evidente per coloro che acquisiscono il c.d. “pre-settled status” prima dei cinque anni di stabilimento, poiché non godono della parità di trattamento rispetto ai cittadini britannici.
Riguardo ai diritti di soggiorno, vi sono due pilastri: le tutele garantite ai lavoratori subordinati e autonomi dall’art. 45 TFUE e in virtù del regolamento (UE) n. 492/2011; i diritti di sicurezza sociale per i cittadini europei e i loro familiari ex regolamenti (CE) n. 883/2004 e (CE) n. 987/2009. Al riguardo, l’Accordo prevede un meccanismo di raccordo con l’evoluzione delle norme europee sul coordinamento della sicurezza sociale. Emerge una sostanziale differenza rispetto alle norme negoziali in materia di lavoro, nel cui ambito non è invece previsto l’adeguamento dell’Accordo all’evoluzione legislativa europea.
Verosimilmente, l’extraterritorialità conferita alla disciplina europea produrrà considerevoli difficoltà applicative. Nel Regno Unito, infatti, il controllo sull’applicazione è affidato ad una autorità indipendente con il compito di svolgere indagini sulle presunte violazioni dei diritti e alle corti interne, ma è preclusa la possibilità di rivolgersi alla Corte di giustizia (CJEU). Inoltre, è stata scardinata la competenza esclusiva della Corte sull’interpretazione del diritto europeo, dal momento che, entro otto anni, i giudici britannici possono operare il rinvio pregiudiziale in caso di questioni interpretative.
Dopo il 31 dicembre 2020, i cittadini europei sono equiparati ai cittadini degli altri Stati terzi e sono sottoposti al nuovo meccanismo restrittivo di controllo dell’immigrazione, nato con lo scopo di attrarre i lavoratori stranieri qualificati sulla base delle esigenze del mercato interno e di bloccare l’immigrazione dei working poors europei.
Una volta soddisfatti i requisiti del regime di immigrazione, i cittadini europei sono tutelati nei limiti stabiliti dalle clausole sociali contenute nell’Accordo di libero scambio, che include clausole soft sulla promozione del lavoro dignitoso e sul rispetto dei core labour standard e della Carta sociale europea, per lo più sotto forma di generiche dichiarazioni di intenti. Si ribadisce così la sovranità legislativa nazionale nell’attuazione degli standard imposti dalle Convenzioni OIL e dalla Carta sociale europea, rispetto alla quale sembra pesare la riluttanza britannica ai progressi raggiunti con la revisione del 1996.
Ulteriori criticità afferiscono alla “clausola di non regresso” sugli standard raggiunti, attraverso cui ciascuna parte si astiene dall’adottare o dal mantenere in vigore i livelli di tutela sociale e del lavoro al di sotto di quelli vigenti. L’azionabilità della clausola è limitata sia per il carattere generico dell’impegno assunto sia per la ribadita sovranità decisionale in materia sociale.
L’Accordo Brexit regola inoltre il diritto alla mobilità per coloro che forniscono un servizio o che fanno ingresso nel territorio delle parti per scopi di investimento, ad esclusione dei job seekers e dei lavoratori permanenti. Nei confronti di alcune categorie di professionisti, l’Accordo usa un approccio meno restrittivo, giacché non prevede una elencazione esaustiva di settori di riferimento. Tuttavia, la mobilità dei professionisti potrebbe essere compromessa dall’incertezza sul riconoscimento delle qualifiche professionali.
Temporaneamente, il “Protocollo sul coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale” ha stabilito l’applicazione della legislazione del Paese di impiego (lex loci laboris) e, in via sussidiaria, il criterio della residenza, discostandosi dalle previsioni del regolamento (CE) n. 593/2008. Infatti, il lavoratore distaccato rimane soggetto alla legislazione delle Stato in cui esercita abitualmente le sue attività (principio della personalità) nel caso in cui la durata di tale attività non superi i 24 mesi e il distacco non sia utilizzato per sostituire un altro lavoratore distaccato. Pertanto, è riproposto il limite statuito ai sensi dell’art. 12 del regolamento (CE) 883/2004, discostandosi dal periodo massimo dei 18 mesi (12 + 6 di proroga eventuale) statuito dalla normativa europea sul distacco. Al di fuori di questo perimetro, il “principio della personalità” cede il posto a quello della “territorialità”.
Le prospettive di fossilizzazione o depauperamento delle tutele lavoristiche nazionali sono inoltre sollecitate dalla impossibilità, per l’UE, di arginare i processi interni di deregolamentazione sociale.
La normativa di derivazione europea è ora equiparata alla normativa interna in forza di leggi nazionali, costituendo una nuova categoria di diritto nazionale (retained UE law). Ne deriva che la disciplina conservata è soggetta ai processi di ordinaria modifica legislativa. Anche la giurisprudenza europea – esclusivamente quella ante-Brexit – sarà considerata come legge britannica, mentre le sentenze europee post-Brexit potranno essere “tenute in considerazione” dalle corti interne.
Un terzo sintomo di questo scardinamento è la (prevedibile) decisione di interrompere l’applicazione interna della Carta dei diritti fondamentali UE. L’infungibilità della Carta potrebbe minare la salvaguardia dei livelli di tutela, soprattutto nella interpretazione del diritto europeo conservato che richiama espressamente lo strumento sovranazionale. Per queste ragioni, la tenuta degli standard sociali interni potrebbe dipendere molto dall’efficacia del meccanismo di monitoraggio della Carta sociale europea (ESC), verso cui il Regno Unito è ancora vincolato (come ha ribadito l’Accordo Brexit). La ESC ha costituito fonte di ispirazione per l’architettura sociale della nascente CEE e, successivamente, per l’acquis sociale UE. Per queste ragioni, l’attenzione posta alla sua applicazione è congeniale alla preservazione dei diritti sociali nell’ordinamento britannico, se si tiene conto che l’insieme dei principi, diritti e libertà in essa contenuti costituiscono un elenco più ampio rispetto a quello sancito dalla Carta dei diritti fondamentali UE, che ad essa si ispira.
In particolare, un controllo strategico sul mantenimento degli standard sociali nel Regno Unito potrebbe essere espletato attraverso il meccanismo di monitoraggio dell’European Committee of Social Rights (ECSR).
Inoltre, la ESC potrebbe rappresentare un utile strumento di monitoraggio sulla conformità e sul futuro rispetto delle norme di tutela – interne o negoziali – dei lavoratori europei emigrati nel Regno Unito, secondo i parametri dell’art. 19. Infine, la ESC potrebbe supportare le Corti interne nella interpretazione degli standard sociali nazionali, una volta venuta meno la competenza della CJEU. In particolare, i giudici nazionali dovrebbero seguire la crescente prassi giudiziale che ammette gli effetti diretti della Carta nell’ordinamento interno, riconoscendone i diritti e gli obblighi prescritti.