Lo scorso 3 maggio, il Parlamento europeo (PE) ha approvato con una maggioranza di 323 voti la Risoluzione legislativa sulla proposta di regolamento del Consiglio relativo all’elezione dei membri del Parlamento europeo, una proposta volta a superare in maniera definitiva l’assetto normativo predisposto dall’Atto elettorale del 1976.
La proposta di regolamento si muove, in parte, lungo i binari del processo di armonizzazione della materia elettorale, rinforzando la normativa vigente, impostata, per lo più, sulla base di principi comuni (vedi Blog): si ricorda che l’Atto elettorale disciplina l’elezione diretta dei membri, limitandosi a identificare alcuni principi generali e rimettendo la disciplina più specifica alla normativa di ciascuno Stato membro. L’aspetto innovativo della proposta si rinviene, piuttosto, nel tentativo di introdurre alcuni elementi di uniformità, con l’obiettivo di dar volto ad uno spazio politico dell’Unione direttamente ricollegabile alla funzione di rappresentanza del PE.
La riforma prevede l’istituzione di una circoscrizione formata dall’intero territorio dell’Unione in cui sarebbero eletti 28 membri (su 705 deputati in totale), lasciando impregiudicati i membri del PE eletti in ciascuno Stato membro. In concreto, ogni elettore disporrebbe di due voti: uno per eleggere un deputato nella rispettiva circoscrizione nazionale e un altro per eleggere un deputato proveniente dalla circoscrizione paneuropea. Per intenderci, un elettore italiano potrebbe votare per un candidato portoghese inserito nella circoscrizione europea. Quello che viene prospettato è, di fatto, un nucleo duro di rappresentanza UE realizzata da deputati provenienti dalla circoscrizione transnazionale e che, proprio grazie all’origine della loro legittimazione e per riuscire a trovare una lingua comune con cui dialogare con il corpo elettorale europeo, sarebbero per natura rappresentanti dell’interesse generale dell’Unione.
Tuttavia, l’effettiva vocazione europea dei deputati eletti nelle liste transnazionali dipenderebbe in gran parte dall’esistenza o meno di partiti politici europei. A tal fine, la proposta prevede che le liste transnazionali siano presentate da entità elettorali europee: quindi, da coalizioni di partiti politici nazionali, da associazioni nazionali di elettori o, addirittura, da veri e propri partiti politici europei, ad oggi confinati a semplici federazioni di partiti politici nazionali, accomunati da mere affinità politiche. I partiti politici europei diventerebbero, in tale scenario, i veri propulsori del processo di formazione di “una coscienza politica europea”, a partire dal momento della campagna elettorale. Potremmo immaginare, infatti, l’instaurarsi di dibattiti politici incentrati su temi di interesse puramente europeo, al contrario dell’usanza odierna di svolgere campagne elettorali per il PE sotto mentite spoglie, trasformandole di fatto in midterm elections di interesse nazionale.
La proposta prevede ulteriori elementi di “europeizzazione”. Ad esempio, quello di fissare nel 9 maggio, anniversario della Dichiarazione di Schuman, la data comune per lo svolgimento delle elezioni europee. Inoltre, al fine di garantire il pari accesso alle elezioni, tra le altre cose, il PE invita gli Stati membri a valutare l’introduzione di strumenti complementari di sostegno, come il voto per corrispondenza, il voto anticipato, il voto per delega o anche il voto elettronico, in conformità alle rispettive tradizioni nazionali. D’altra parte, una società profondamente cambiata dalla globalizzazione e dal processo di integrazione europea, caratterizzato dalla preminenza della libertà di circolazione, necessita un ripensamento anche del diritto di voto, inteso come effettiva capacità di partecipare alle consultazioni elettorali.
Tra i punti più salienti della riforma vi sono, poi, l’elezione del Presidente del Consiglio europeo e la prassi dello Spitzenkandidat (sistema dei candidati capilista) insieme al procedimento di nomina della Commissione. Questi aspetti non sono di secondaria importanza e molto ci dicono sulle prospettive in termini della forma di governo dell’UE, ancora in via di definizione (Lupo), e sul ruolo via via più incisivo che potrebbero svolgere i partiti politici e i gruppi parlamentari, proprio in virtù di una loro crescente europeizzazione.
Per quanto riguarda la prima questione, sarebbero i leader dei partiti politici e dei gruppi parlamentari europei a concordare un’indicazione comune per la presidenza del Consiglio europeo, sulla base dell’esito delle elezioni, verso cui far convergere la scelta dei Capi di Stato e di governo. Oltre a ciò, la proposta mira a positivizzare la prassi dello Spitzenkandidat. Secondo il progetto di riforma, il Presidente del Consiglio europeo dovrebbe consultare i leader delle forze politiche europee prima di proporre il candidato alla Presidenza della Commissione dinanzi al PE. Candidato che, si presume, sarebbe individuato nella rosa di nomi dei capilista presentati nelle liste elettorali della circoscrizione paneuropea. Infatti, si legge che tutti gli elettori europei dovrebbero poter votare il loro candidato preferito alla carica di presidente della Commissione e che i candidati capilista, designati da un’entità politica europea, dovrebbero essere eleggibili in tutti gli Stati membri all’interno della lista paneuropea. Per perseguire tale obiettivo, la proposta invita i partiti politici europei e tutte le altre entità politiche a designare il proprio candidato alla carica di presidente della Commissione come capolista nella lista corrispondente della circoscrizione elettorale paneuropea. In tale scenario, le liste transnazionali diventerebbero strumentali a dare una legittimazione quasi diretta all’elezione del presidente della Commissione, incidendo sulla natura della sua responsabilità, che da figura in parte di derivazione tecnica si trasformerebbe in soggetto puramente politico, responsabile dinanzi al PE così come al corpo elettorale. Si incoraggiano, inoltre, i gruppi parlamentari interessati a concludere un “accordo di legislatura”, al fine di assicurare un seguito politico alle elezioni e ottenere una maggioranza in seno al PE in vista della nomina della Commissione. Questo elemento sembra rinforzare l’inclinazione verso una forma di governo parlamentare, creando prospettive importanti anche sul rafforzamento di strumenti, quale la mozione di censura (art. 119 regolamento del PE), che sino ad ora hanno trovato scarsa applicabilità.
Negli anni sono stati numerosi i tentativi da parte del PE di sollecitare una revisione della legge elettorale europea, ma il processo di riforma si è sempre arenato. La palla ora passa al Consiglio che, ricevuta la proposta del PE, dovrà approvarla all’unanimità (art. 223 TFUE). Infine, ai sensi dell’art. 223 TFUE, le disposizioni entreranno in vigore solamente dopo che saranno approvate dagli Stati membri, in conformità alle rispettive norme costituzionali.
È d’interesse la proposta di riforma dello stesso art. 223 TFUE: il PE chiede che venga superato il requisito dell’unanimità in seno al Consiglio, passando ad un processo decisionale a maggioranza qualificata. Sul requisito di unanimità in generale si è espresso anche Mario Draghi nel suo discorso a Strasburgo (commentato per questo Blog) il giorno stesso in cui è stata approvata la proposta di regolamento, così come la Presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, in occasione della conclusione dei lavori della Conferenza sul Futuro dell’Europa (Cofoe). Entrambi hanno enfatizzato la necessità di superare strumenti decisionali che frenano il processo di federalizzazione.
L’istituzione di un quadro comune in materia elettorale potrebbe essere strumentale al processo di integrazione politica nell’ordinamento sovranazionale e significativa in termini di legittimazione democratica del processo decisionale dell’Unione, rinforzando al contempo il concetto di cittadinanza europea, nella prospettiva, se non altro, di dare contenuto in termini di rappresentanza politica al demos dell’UE. Come ricorda anche la risoluzione, nei suoi considerando, l’art. 14 TUE prevede che il Parlamento sia composto da rappresentanti dei cittadini dell’Unione e non dei popoli degli Stati membri. Con l’obiettivo di consolidare il dibattito pubblico così come la dimensione democratica sovranazionale, il PE ritiene essenziale implementare la propria trasparenza e responsabilità politica, rafforzando la dimensione europea delle elezioni. È imprescindibile, però, anche una codificazione della prassi dello Spitzenkandidat, insieme al riconoscimento del ruolo istituzionale svolto dalle forze politiche europee, vera cinghia di trasmissione, insieme ai Parlamenti nazionali, tra le istanze del corpo elettorale e le istituzioni rappresentative e governative dell’UE.
Gli shock simmetrici degli ultimi anni hanno profondamente accelerato il processo di integrazione e questa proposta di regolamento indica chiaramente la direzione verso cui determinate istituzioni UE vogliono dirigersi. L’augurio è che essa possa costituire una base concreta su cui costruire la “comunità politica europea” evocata anche il 9 maggio dal Presidente di turno del Consiglio, Emmanuel Macron, in occasione della chiusura dei lavori della Cofoe. È singolare che proprio il Presidente francese abbia richiamato il progetto di unione politica proposto da De Gasperi e Spinelli nel lontano 1950 e naufragato proprio a causa della mancata ratifica da parte della Francia. Macron si è limitato a parlare di un’unione che “permetterebbe alle nazioni europee democratiche che aderiscono alla nostra base di valori di trovare un nuovo spazio per la cooperazione politica, la sicurezza, la cooperazione energetica”. L’auspicio è, piuttosto, che questa e altre proposte si muovano verso un federalizing process in senso centripeto, che superi la cooperazione tra Stati e che identifichi, invece, il centro di un potere politico sovranazionale, distribuito secondo il modello della forma di governo euro-nazionale.
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