Associato agli strumenti già attivi in diversi Paesi europei, tra cui il nostro, il documento attestante l’immunità o la negatività dal virus Covid-19 permetterà, dopo più di un anno di limitazioni alla possibilità di movimento e più in generale all’esercizio dei diritti fondamentali, un ritorno alla normalità. Tanto evocata, rimpianta e reclamata, la libertà è infatti la condizione ordinaria che è stata repentinamente interrotta e sospesa in ragione della pandemia, piombata violentemente nelle nostre vite, condizionandole come mai avremmo potuto immaginare.
Prima di riappropriarci a pieno della libertà quotidiana che ci appartiene e spetta di diritto siamo tenuti ancora allo sforzo di rendere atto di essere in possesso di requisiti specifici necessari a goderne. Sebbene infatti i dati in costante miglioramento lascino intravedere la tanto agognata luce in fondo al tunnel, il virus incombe ancora e, soprattutto, aleggia il monito dell’esperienza dell’estate scorsa, quando la convinzione di aver passato il peggio ha spinto ad abbandonare prematuramente e improvvidamente le cautele che invece sarebbe stato opportuno mantenere. Ma con il senno del poi è sempre facile valutare.
Opportuna, dunque, la scelta di condizionare ancora per qualche tempo la libertà di circolazione al possesso di requisiti sanitari, per garantire la salute pubblica nell’esercizio dei propri diritti. Ci troviamo perfettamente inseriti nel quadro costituzionale che consente di limitare la libertà di movimento per ragioni di sanità o sicurezza. I dubbi sollevati rispetto alla possibile illegittimità di un passaporto sanitario, valido all’interno dei confini dello Stato o in ambito sovranazionale, sono stati superati dalla previsione di criteri rigorosi e attenti al rispetto dei diritti coinvolti.
Nello specifico, il certificato Covid Ue rappresenta una prova attestante l’avvenuta vaccinazione con uno dei vaccini riconosciuti dall’EMA contro il Covid-19, ovvero la negatività al virus dimostrata tramite test o ancora la guarigione (e relativa immunizzazione) dal coronavirus. Il certificato, che sarà rilasciato dalle autorità nazionali, è gratuito e valido in tutti i Paesi dell’Unione europea (più Islanda, Liechtenstein, Norvegia e probabilmente Svizzera). Potrà assumere forma digitale o cartacea, e in entrambi i casi è previsto un codice QR. Nello specifico, gli Stati membri devono rendere gratuitamente disponibili ai cittadini una applicazione o un portale ai fini del rilascio dei certificati (sia digitali che stampabili su supporto cartaceo); un dispositivo che consenta alle persone di conservarli (per esempio una app wallet); una applicazione che consenta la scansione finalizzata alla verifica dei dati. Per agevolare gli Stati in questa fase e promuovere l’omogeneità degli strumenti, la Commissione offre software open source utili per rilasciare, conservare e verificare i certificati ma nulla esclude che i singoli Paesi possano avvalersi di strumenti esistenti o sviluppare proprie applicazioni. È importante precisare che il certificato Covid digitale Ue contiene dati, quali informazioni anagrafiche, data di rilascio, indicazioni in merito al vaccino o al test effettuato o all’avvenuta guarigione, che rimangono nel certificato e non vengono memorizzati né conservati nel momento in cui il documento viene esaminato da un altro Stato membro. La valutazione è effettuata solo con riferimento alla validità e autenticità del certificato e le informazioni sono conservate a cura e rigorosamente nell’ambito dello Stato membro che ha rilasciato la documentazione. Nel caso in cui uno Stato non sia pronto a effettuare il rilascio dei certificati secondo i requisiti prescritti dal regolamento è previsto un periodo di transizione di sei settimane, durante il quale sarà possibile utilizzare diversi formati di certificazione, che dovrebbero comunque essere accettati dagli altri Stati membri interessati.
I cittadini europei che abbiano ricevuto il vaccino in un paese extracomunitario possono presentare istanza per il rilascio del certificato allo Stato membro di cittadinanza o di residenza. La documentazione sarà concessa a fronte di una prova affidabile dell’avvenuta vaccinazione. Si sottolinea che i certificati dovrebbero essere rilasciati a prescindere dal tipo di vaccino ricevuto, a patto che si tratti di una delle formule autorizzate a essere commercializzate nell’Unione europea.
In Italia da qualche tempo stiamo sperimentando il certificato verde che permette lo spostamento tra regioni rosse o arancioni e la partecipazione a manifestazioni ed eventi. In attesa dell’entrata in vigore del pass europeo, è uno strumento utile per permettere una ripresa sicura, in coerenza con i principi sanciti dal nostro ordinamento costituzionale: intanto è stato introdotto con normativa primaria e precisamente con un decreto-legge, strumento normativo del governo che assicura il controllo parlamentare sul provvedimento. In secondo luogo, ma non in subordine, si rivela uno strumento equilibrato dal punto di vista del rispetto degli interessi coinvolti, superando le perplessità sorte rispetto a possibili effetti discriminatori che sarebbero stati fondati se, per esempio, si fosse consentita la libertà di circolazione ai soli vaccinati. In questo caso si sarebbe effettivamente ravvisata una discriminazione: in primis perché nel nostro Paese il vaccino non è ancora materialmente disponibile per tutti, e molti sono ancora in attesa di riceverlo; poi perché non bisogna dimenticare che la Costituzione tutela anche chi non può (per esempio a causa di patologie pregresse, allergie, immunodeficienza) o non vuole essere vaccinato, garantendo la libertà di scelta del trattamento sanitario in assenza di una norma primaria che imponga l’obbligo vaccinale. L’art. 32 della Costituzione prevede infatti che si possano imporre con legge o fonte equivalente trattamenti sanitari obbligatori, se necessari al fine di tutelare la salute dei terzi o della collettività generale, come accade nel caso degli operatori sanitari sui quali incombe l’obbligo ai sensi del decreto-legge n. 44/2021. Tuttavia, deve trattarsi dell’eccezione rispetto alla regola, rappresentata dalla libertà di cura. Lo ha chiarito la Corte costituzionale quando ha affermato che il trattamento sanitario può essere imposto se «diretto non solo a migliorare o a preservare lo stato di salute di chi vi è assoggettato, ma anche a preservare lo stato di salute degli altri; se si prevede che esso non incida negativamente sullo stato di salute di colui che è obbligato, salvo che per quelle sole conseguenze che appaiano normali e, pertanto, tollerabili; e se, nell’ipotesi di danno ulteriore, sia prevista comunque la corresponsione di una equa indennità in favore del danneggiato» (Corte Cost., sent. n. 5/2018).
Alla luce di ciò, la soluzione individuata dal certificato sanitario garantisce i diritti di tutti, perché delinea ipotesi alternative senza determinare privilegi irragionevoli. La possibilità di spostarsi liberamente e di accedere a determinate strutture e servizi è infatti riservata a chi ha ricevuto il vaccino oppure è guarito dal Covid da più di sei mesi oppure a chi può attestare la sua negatività al virus con un tampone effettuato entro le 48 ore dal viaggio. Il rispetto di uno di questi requisiti permette anche ai turisti provenienti dall’estero di entrare in Italia di evitare la “quarantena” prevista fino al 15 maggio scorso.
In sintesi, il certificato Covid – sia interno che sovranazionale – è cosa buona e importante perché consente una ripresa (necessaria) in sicurezza, riaffermando la libertà di circolazione che è fondamentale al pari del diritto al lavoro e delle libertà economiche. Fino a ora questi diritti sono stati sacrificati in ragione della tutela della salute, che si esplica secondo una doppia dimensione individuale e collettiva. Sono diritti che possono essere compressi solo in ragione di un interesse prevalente, appunto quello alla sicurezza sanitaria, in via straordinaria, nella misura minima possibile e per un tempo definito. Grazie ai vaccini e alla disponibilità diffusa di test affidabili queste prerogative sacrificate possono essere ripristinate. Peraltro, il “passaporto” così come formulato non comporta discriminazioni irragionevoli e rispetta il diritto alla privacy individuale; è uno strumento transitorio di cui personalmente non vedo l’ora di usufruire per riassaporare la sacrosanta libertà.