La decisione n. 2021-824 del 5 agosto 2021 sulla legge relativa alla gestione della crisi sanitaria e, più precisamente, sull’estensione del pass sanitario, s’inscrive in un orientamento giurisprudenziale in materia di crisi sanitaria inaugurato a partire dalla decisione del Conseil constitutionnel del marzo 2020. In continuità con quella giurisprudenza, il Conseil ha validato i contenuti essenziali della legge, ivi compresi quelli volti a fronteggiare la crisi, privilegiando l’obiettivo costituzionale di protezione della salute rispetto ad altri diritti e libertà. Solo due le disposizioni censurate: una prima, relativa alla risoluzione anticipata dei contratti lavorativi a tempo determinato; una seconda, riguardante la condizione di isolamento di coloro che risultano positivi ad un test di accertamento.
In entrambi i casi, ragionamento e soluzione hanno un senso. Quella che potrebbe essere percepita come una flessione nel ricordato mouvement jurisprudentiel de crise sanitaire, nei fatti, non lo è, dal momento che l’obiettivo costituzionale della tutela della salute resta il punto di riferimento normativo di tutta la valutazione del tribunale costituzionale. Da una parte, la censura relativa al sistema di isolamento si inserisce in un percorso giurisprudenziale già tracciato dal Conseil. Dall’altra, la dichiarazione di illegittimità relativa ai contratti di lavoro è limitata alla conclusione anticipata di un accordo lavorativo a durata determinata. Peraltro, il Conseil non si è mostrato propenso ad attenuare altri provvedimenti che pure compromettono la libertà di movimento, confermando così la propria giurisprudenza incentrata sulla salvaguardia della salute.
In primo luogo, il Consiglio ha dichiarato che il regime di isolamento a cui è tenuto il soggetto contaminato è contrario all’art. 66 della Costituzione, poiché si applica «senza una decisione individuale fondata su una valutazione dell’autorità amministrativa o giudiziaria» (§ 116), dunque, senza la garanzia che «la misura privativa della libertà sia necessaria, adatta e proporzionale» (§ 117). Tale conclusione deriva dalla giurisprudenza costituzionale relativa alla garanzia della libertà individuale poiché l’isolamento supera le 12 ore su 24 (Decisione n. 2015-527 QPC del 22 dicembre 2015) ed è in linea con il precedente relativo alla previsione secondo cui, in caso di isolamento, l’intervento dell’autorità giudiziaria è necessario solo dopo il termine di 14 giorni, meccanismo validato in ragione del fatto che «le misure di quarantena, di sottoposizione e permanenza in isolamento sono pronunciate con decisione individuale motivata del prefetto su proposta del direttore generale dell’Azienda sanitaria regionale» (Decisione n. 2020-800 DC dell’11 maggio 2020). Con la decisione sul pass sanitario, il Consiglio ha fatto prevalere non tanto l’idea della necessità dell’intervento dell’autorità giudiziaria quanto piuttosto l’esigenza di una valutazione della personale situazione dell’interessato: la garanzia dei diritti vi guadagna, ma non si tratta di un’effettiva flessione giurisprudenziale in tema di tutela costituzionale della salute.
In secondo luogo, per invalidare il meccanismo che consente la risoluzione anticipata di un contratto di lavoro a tempo determinato, per il dipendente che non presenti un pass sanitario valido qualora richiesto, il Consiglio ha invocato il principio di eguaglianza tra lavoratori: ciò, in funzione della natura del contratto che li lega al loro impiego, a tempo determinato o a tempo indeterminato, poiché coloro che rientrano in questa seconda categoria non sono oggetto di risoluzione anticipata del rapporto lavorativo. Si tratta di una classica applicazione giurisprudenziale del principio di eguaglianza, secondo cui «il principio di uguaglianza non preclude al legislatore di disciplinare in modo diverso situazioni diverse, né di derogare all’uguaglianza per ragioni di interesse generale, posto che, nell’uno e nell’altro caso, la differenza di trattamento che ne deriva è direttamente correlata all’oggetto della legge che la istituisce» (§ 49). Se è vero che il differente trattamento di tali categorie di dipendenti è legato al fatto che essi «si trovano in situazioni diverse» (§ 76), è d’altra parte vero – rilevano i giudici costituzionali – che rispetto allo scopo della norma la differenza di trattamento non si giustifica: la previsione dell’obbligo di pass sanitario mira a limitare la diffusione dell’epidemia e, con riferimento a questa finalità, «i dipendenti, siano essi con contratto a tempo indeterminato o in contratto o missione a tempo determinato, sono tutti esposti allo stesso rischio di contaminazione o trasmissione del virus» (§ 77). Il dispositivo che consente la risoluzione del contratto di lavoro a tempo determinato è quindi incostituzionale. Resta possibile la sospensione del rapporto di lavoro.
Proprio la convalida senza riserve del meccanismo che consente la sospensione del contratto di lavoro, con interruzione del pagamento dell’indennità, del dipendente sprovvisto dell’obbligatorio pass sanitario è passibile di critica. La legge tace completamente, infatti, sulle condizioni di sostentamento del lavoratore interessato dalla sospensione, così esponendolo alla precarietà, laddove la giurisprudenza costituzionale in materia, derivante dal Preambolo del 1946 e dall’art. 34 Cost., impone al legislatore di adoperarsi «per porre rimedio alla precarietà del lavoro». Il tribunale costituzionale ha invece sottolineato la necessità di preservare il diritto alla salute, ritenendo che la disposizione consenta al lavoratore di recuperare il proprio diritto e la sua retribuzione non appena presenti il pass sanitario.
In terzo e ultimo luogo, il Conseil constitutionnel è parso restio a qualsiasi modifica della propria giurisprudenza in materia di crisi sanitaria, nonostante alcune disposizioni di legge avrebbero meritato, se non una dichiarazione di illegittimità, almeno una precisazione. Due sono gli esempi principali.
Da una parte, il pass sanitario è necessario per le «attività ricreative», nozione che il Conseil aveva convalidato durante l’esame della prima legge istitutiva del tesserino sanitario (del 31 maggio 2021), ritenendola «né imprecisa né ambigua» e precisando come non vi si potessero includere «attività politica, sindacale o religiosa», come da ultimo confermato dal Consiglio di Stato (parere del 19 luglio 2021, n. 403629). Quella legge, però, limitava l’applicazione del pass sanitario a stabilimenti o manifestazioni che prevedessero grandi assembramenti di persone, escludendo così un gran numero di attività ricreative. Nella legge agostana questa limitazione è scomparsa: senza esprimere riserve, di fatto, il Conseil ha avvallato l’ipotesi dell’obbligo di green pass anche per attività minime (nautica, trekking, passeggiate nei boschi su sentieri segnalati, partite di tennis all’aperto, addirittura il semplice accesso alla spiaggia), con effetti di indebita interferenza sulla libertà di circolazione. Certo, la legge impone il rispetto del principio di proporzionalità, ma il suo controllo spetta ora al giudice amministrativo, laddove avrebbe potuto essere delimitato dal giudice costituzionale, senza che la tutela della salute ne risultasse pregiudicata.
Per altro verso, il Conseil ha convalidato – anche in questo caso, senza riserve – l’applicazione del pass sanitario per l’accesso ai centri commerciali, discostandosi dall’osservazione mossa dal Consiglio di Stato nel suddetto parere, secondo cui «gli elementi comunicati dal Governo, in specie i dati epidemiologici e i pareri scientifici, non rivelano, alla luce delle misure sanitarie già applicabili ed in particolare delle prescrizioni che vincolano al rispetto dei limiti alla circolazione, un interesse rilevante per il controllo dell’epidemia; mentre costringe le persone non vaccinate, in particolare quelle che non possono essere vaccinate per motivi medici, a sottoporsi regolarmente a test per ottenere l’accesso». Non è la prima volta che le opinioni dei due Consigli divergono ma bisogna ammettere che un simile dispositivo solleva seri dubbi di efficacia e applicabilità. Soprattutto, esso non comporta solo una restrizione alla libertà di movimento, anche per le attività della vita quotidiana (dal momento che i centri commerciali ospitano negozi di prima necessità o addirittura centri di vaccinazione, il cui accesso è preservato per legge), ma anche alla libertà d’impresa (in considerazione, tra l’altro, dei costi aggiuntivi generati dal controllo dei pass, che devono essere sostenuti dai gestori dei centri).
(la traduzione del testo è stata curata dalla dott.ssa Chiara Spiniello, Università di Roma Sapienza)